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27 gennaio – giorno della memoria
EX GIL – ROMA -2011
a cura di Micol Di Veroli e Barbara Collevecchio

Meditate che questo è stato

Sei milioni di ebrei. A questo impres- sionante numero si aggiungono i disa- bili, gli omosessuali, i soldati sovietici, gli oppositori politici, i Rom ed altre vittime innocenti. Sono numeri che descrivono volti, storie e sentimenti orribilmente calpestati dal sistematico sterminio compiuto dalla Germania nazista nel corso della seconda guerra mondiale. Ed ancora oggi c’è chi cerca di negare queste cifre o di minimizzarle come se un numero minore di vittime potesse giustificare simili barbarie. La più grande tragedia della storia del genere umano si è compiuta all’interno di una società civilizzata, proprio come quella in cui tutti vivono ai giorni nostri.
Olocausto e genocidio sono simboli dell’odio che potrebbero manifestarsi anche nella nostra pacifica realtà contemporanea dove la libertà e la de- mocrazia sono principi troppo spesso sottovalutati o comunque dati per scontati. L’unico meccanismo di di- fesa contro il ripetersi di un dramma collettivo è la nostra memoria, verità assoluta ed indubitabile di un “siamo perchè eravamo” che si oppone ad ogni sordida forma di rimozione, negazione e revisionismo. La memoria non è solamente il punto nevralgico del nostro tessuto emozionale, essa è altresì un indispensabile strumento di confronto storico e culturale, una piattaforma solida dove gettare le fondamenta della futura vita sociale, evitando di ripetere gli errori del passato. Apprendere dalla memoria e tramandare il proprio scibile ai posteri oltre a fungere da monito è una pratica che supera le barriere del tempo consentendo al pensiero di porsi oltre il concetto di fisicità e morte.
Arte e memoria sono da sempre in stretto contatto fra loro, questo poiché il potenziale visivo delle pratiche creative rappresenta un mezzo di comunicazione assai più diretto del verbo e della parola scritta. Esistono volontà malevole in grado di riscrivere interi libri di storia, di trasformare una bieca propaganda in ideologia ma non vi è alcun modo di oscurare le tracce di uno sterminio quando esso assume una forma fisica attraverso la pratica creativa. Impossibile cancellare l’orrore presente nei volti dei soggetti de La fucilazione del 3 maggio 1808 di Francisco Goya come è altrettanto impossibile zittire le grida strazianti della Guernica di Pablo Picasso. L’arte si pone oltre qualsiasi manipolazione ideologica o politica poiché attraverso il flusso organico
della memoria diviene manifestazione oggettiva della storia. Ho avuto la for- tuna di non vivere in prima persona tragedie come la deportazione o la luci- da follia dei campi di concentramento, sentirsi braccati ed affamati, separati dai propri cari. L’orrore è giunto a me tramite gli occhi delle persone care che sono sopravvissute all’eccidio, la paura è giunta a me tramite le loro parole che hanno scavato un solco indelebile nella mia memoria, il dolore è giunto a me tramite la mancanza di tutti quegli affetti che da Auschwitz, Bergen-Belsen o Buchenwald non hanno più fatto ritorno. Come me gli artisti partecipanti alla presente mostra non hanno vissuto le atrocità del nazismo ma ognuno di essi è riuscito ad apprendere dalla memoria, a filtrare le proprie emozioni creando opere che a loro volta costitu- iscono un percorso che si snoda attraverso momenti di alienazione, prigionia ed odio razziale per terminare in un’apertura verso la speranza di pace e la promessa di un mondo migliore.
Vi sono immagini e concetti ben precisi che uniscono i lavori presenti in mostra, riunendoli sotto il segno di un sentire comune che rende il dramma di un popolo o di un singolo individuo una tragedia universale. La ferocia della deportazione per Fabio Mauri è rac- chiusa in un unico simbolo, uno pneu- matico nero che si staglia su di uno sfondo bianco. Un singolo ed innocuo oggetto diviene una sorta di bandiera dell’odio, stendardo che guida un in- tero popolo verso un viaggio senza ritorno e fregio di una supremazia indu- striale fondata sul sangue e sul sudore dei lavori forzati. Ed è oscuro presagio di deportazione anche la drammatica installazione di Davide Orlandi Dormino. Binari formati da scarpe conducono ad una destinazione letale mentre il lento viaggio di corpi stivati come carne da macello si compie in un calvario di fame e di stenti.
L’immagine della morte è invece presente nell’opera di Franko B che im- merge la bandiera del popolo di Israele in un vortice nero. La materica presen- za della Stella di David sembra gridare al mondo il lutto e le sofferenze di un intero popolo. Per Andrei Molodkin la funerea effigie della fine rappresen- tata dal teschio, evidenzia l’assurdità di una morte fisica attraverso la perdita di valori sociali, politici e religiosi.
La parola Olocausto richiama alla mente immagini indelebili come le in- terminabili pile di cose preziose, di capelli, di abiti e di corpi senza vita am- massati come semplici oggetti. Queste accumulazioni, simbolo di un surreale sterminio, trovano una forma concreta all’interno dell’opera di Davide Seba- stian dove gli oggetti comuni riflettono l’essenza di vite spezzate che si staglia- no inermi innanzi alla vanagloria nazista. Lo stesso meccanismo anima l’installazione di Simone Cametti, le sue accumulazioni di scatole contengono geodi, cavità di roccia che racchiudono cristalli. Pietre come quelle che il popolo di Israele utilizza come metafore della memoria, brutalmente rinchiuse senza poter tramandare il loro passato.
Tra le atroci sevizie e coercizioni con- dotte dalla follia nazista le più sottili ed efferate sono da ricercarsi nella sistematica sottrazione dell’identità e della libertà personale. Zaelia Bishop
riassume queste due privazioni disper- dendo la presenza fisica ed i sentimenti di una fanciulla senza nome. Per Mat- teo Basilè invece la cruda fisionomia di un anonimo sterminio composto da cifre e numeri passa attraverso i volti di donne divorati dalle loro stessa mol- titudine. L’essere umano privato della sua identità diviene solo un rigido in- volucro, così Edoardo Aruta descrive le azioni di una sordida mano che schia- vizza e dismette a proprio piacimento. Ed i segni di una prigionia che condu- ce alla morte sono scritti nella polvere come nell’opera di Silvia Giambrone ma il marchio indelebile del filo spina- to continua ad esistere anche all’inter- no della caducità del tempo.
La negazione di una tragedia come l’Olocausto equivale alla negazione dei diritti umani e della storia. Stefania Fabrizi nella sua opera descrive la mol- titudine di uomini che in passato ha chiuso gli occhi innanzi ad inverecon- de barbarie ed al contempo le schiere di giusti a cui è stata negata la verità. Emanuele Napolitano & Francesco Petricca cancellano le immagini degli aguzzini, ma a questa ennesima nega- zione si oppone la presenza di docu- menti ineluttabili. Infine la negazione di un futuro per una nuova generazione si manifesta in tutta la sua agghiaccian- te disperazione ed assume le sembianze di una culla vuota, un’infanzia muta immaginata da Claudia Zicari.
L’estrema importanza della memoria è una potente arma contro le nuove forme d’odio. Andrea Aquilanti mol- tiplica la percezione dei luoghi di co- strizione e sofferenza, estendendo la linea temporale. Nella sua opera il passato si getta direttamente nel presente con una luce di speranza e commemorazione. Daniele Jost si affaccia alle nuove tecniche di conservazione della memoria tramite i QR Codes, codici a barre bidimensionali che simbolicamente rammentano alle nuove generazioni le spietate forme di catalogazione attuate dai nazisti. Gaia Scaramella ridona memoria a milioni di vittime senza nome tramite un’installazione multimediale che invita lo spettatore a meditare su ciò che è stato e lo spinge a formulare un’apertura verso un futuro migliore. Mauro Di Silvestre riafferma i sogni e le speranze infrante di una giovane vita tramite la ricostruzione pittorica della camera di Anna Frank. Roxy in the box raccoglie sensazioni contemporanee e popolari sull’Olocausto, attuando un’indagine sociale che necessita di attenzione ed impegno per essere fruita perchè con attenzione ed impegno deve essere conservata la memoria. Fernanda Veron si affida ai ricordi del singolo per trasformare pas- sioni e sentimenti in memoria comune. Una violinista che sacrifica il suo crine per non far perire il suo strumento e quindi la musica rappresenta il dono dell’uomo al resto della società.
La speranza e la pace possono lenire le atroci sofferenze dell’Olocausto, conducendo l’essere umano verso un cammino di tolleranza, comprensione ed amore. La ridicolizzazione della figura di Adolf Hitler che si trasforma in un duchampiano Chaplin per volere di Boaz Arad ci aiuta a comprendere l’estremo potere di un uomo maligno ma anche i suoi punti deboli, la sua stupidità che può e deve essere annientata tramite il sapere e la conoscenza.
Lo sciame di scarabei che formano la Stella di David sullo sfondo del fiume Giordano nell’opera di Pietro Ruffo ribadiscono il concetto di umanità, di società organizzata, di proliferazione, di mutazione e di progressiva trasformazione della spiritualità e dell’ideologia verso un futuro di prosperità. Infine l’installazione di stracci colorati di Michelangelo Pistoletto dona forma al concetto di una pace libera da differenze e discriminazioni.
Attraverso tutte queste dissimili ma al tempo stesso unite voci, Acthung! Achtung!, manifesta quindi la volontà di creare una retorica della memoria, vale a dire non una ricercatezza forma- le priva di contenuti ma un elemento fondamentale con cui si accresce l’efficacia di un discorso. Questo elemento viene amplificato dalla pratica artistica e consegnato ai posteri che dovranno custodirlo e tramandarlo di generazione in generazione. Per far si che tutto questo orrore non accada mai più.

Micol Di Veroli


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Ascii -> Binary

drawing on paper, 2010

Un ricordo dei numeri seriali applicati ai prigionieri nei campi di sterminio, questa sequenza è la traduzione di un testo da charset latin a codice binario.
Esiste nella struttura linguistica ebraica una correlazione tra lettere e numeri; allo stesso modo ciò avviene nel linguaggio informatico che utilizza questo semplice sistema di cifratura basandosi sul concetto di TRUE e FALSE. Qualunque supporto di storaggio , memorie di massa , server sarebbe nullo senza la sussistenza di un dizionario capace di tradurre la lingua madre con cui sono composte le informazioni. La correlazione tra input – magnetismo – storaggio non è dissimile tra osservazione – sinapsi – ricordo.

La frase criptata in ascii cita: “se non ricordiamo non possiamo comprendere”


.Dae Witness

drawing on paper, 2010

l’uomo sezionato e scansionato rappresenta la memoria dei soprusi e delle brutalizzazioni dell’uomo sull’uomo. Qusto body scanner analizza il flusso dei dati ricavando volumi e texture ma non l’identità mnemonica di cui era composto.
la medicina tedesca ha fatto passi da gigante sulla pelle di migliaia di persone private della loro coscienza e tradotte in dati oggettivi.
il computer non sceglie. Esegue. Questo bug è riscontrabile anche nella natura umana

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qrcode

drawing on paper, 2010
use an qrcode decode to see related content

Si tratta di una riproduzione a matita di un codice QR.
Questa soluzione è molto interessante perchè costituisce un’utile riflessione tra linguaggio e codifica, tra compressione dati e traduzione in protocolli web.
Il codice genera un link che punta nell’oceano della rete, restituendo fotogrammi video in ascii code che mostrano i lineamenti e il suono del male,cifrati, nascosti e condivisibili in rete nel “gioco” spesso perverso della condivisone sui network. la banalità del male che continua ad esprimersi in mille forme.


The house of freedom

drawing on paper, 2010

Una bucolica vista di un casolare di campagna. La vista prospettica dal basso spesso non permette di comprendere le forma e le dimensioni (e quindi il peso) della realtà in cui viviamo. la tecnologia satellitare ci mostra oggi una pianta interattiva in cui possiamo specchiarci e spesso spaventarci della nostre nudità, delle nostre paure e a volte delle nostre complicità silenti verso il buio che ci circonda.

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File Not Found

remember the DOM cloud – drawing on paper, 2010

Uno degli errori più frequenti che ci capita di imbatterci in rete. La pagina non trovata è la pagina della vergogna, la testimonianza di cui non vorremo sentir parlare. L’opera si presenta come una nuvola di keyword legate tra di loro riproducendo analiticamente il DOM di una pagina web. Il Document Object Model ha l’obbiettivo di strutturare un documento in maniera da essere neutrale sia per la lingua che per la piattaforma. Questa suggestione evoca il rapporto tra trascrizione e rettificazione, la possibilità di manipolare i contenuti addizionando o sottraendo concetti, testimonianze, dati; trasformando quindi la memoria in un cloud vulnerabile il cui unico filo che ne esce è una pathway da ricostruire.


Auschwitz Main Frame

server cluster, storage system – drawing on paper, 2010

Un’architettura metamorfica combina i container dello sterminio con una server farm.
Le macchine virtuali contengono pile di hard disk ciascuno contenente miglioni di informazioni. Alla stessa maniera ciascun uomo è server, prezioso snodo di esperienze in transito sia in input che output. In europa rimangono gli scheletri di queste macabre strutture come testimonianza di uomini ridotti a numeri, senza possibilità di interconnessioni, lasciando alle generazioni contemporanee il disagio del post – corto circuito.

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